domenica 14 giugno 2009

"L’uomo che aveva picchiato la testa"

Paolo Virzì deve volergli un gran bene a Bobo Rondelli.
Credo sia anche per questo che ha girato il documentario “L’uomo che aveva picchiato la testa”, uscito con “Il Tirreno” qualche tempo fa.
Una bella fotografia di Bobo e di Livorno, senza retorica, né folklore.
E io che a Bobo Rondelli gli voglio davvero un gran bene, ci ho ritrovato tutto quello che è; e mi sono ri-imbambolata a sentirlo leggere “Compagni di sangue” e ri-innamorata a sentirlo cantare e ri-incazzata a vederlo mentre si lagna.
Bobo è così e anche Livorno, dice il documentario.
Ma dice anche che chiunque altro avesse picchiato la testa, ne avrebbe ottenuto solo una fastidiosa emicrania.

Da vicino

A pagina tredici di “A colloquio” mi sono ricordata di Andrea.
Ero ancora molto giovane a pagina tredici.
Lontana da pagina trentasei e dalla storia della Signora A. che vive nella sua casa orizzontale e lontanissima da pagina centosessantanove, quando sarei scoppiata in singhiozzi per (o forse insieme) al Giovane Signor B..
“A Colloquio” è un libro di Massimo Cirri, perché Massimo Cirri è anche uno psicologo e ha pensato di raccogliere qualche chiacchierata tra lui e i cittadini che frequentano il centro di salute mentale nel quale lavora.
A pagina tredici Cirri cita “Da vicino nessuno è normale” che è una bella manifestazione teatrale, che si fa d’estate, a Milano, dentro il Paolo Pini, che l’ex Ospedale Psichiatrico.
Quattro secoli fa ci ho lavorato e ci conosciuto Marisa e Roberto che mi aspettavano tutte le sere perché gli comprassi Il Mottarello e poi ci ho conosciuto Andrea.
Andrea una notte decise che voleva parlare con me.
Non la saprei raccontare quella conversazione, perché un conto è sentirle delle cose e un altro è raccontarle.
Il Signor Cirri è molto bravo invece. E’ onesto, laico e trasuda pietas.
Sa che ci si ride, sa che ci si piange e che, alla fine, il perché non è poi così importante.
Scrive: “Con desiderio di condivisione. Per l’idea che una linea ininterrotta unisca me, il più banale dei normali, con l’altro, il più estremo dei folli. E l’altro sono sempre io.”
Quattro secoli fa, Andrea prima di andarsene mi ha chiesto: “Ma tu ci sei mai stata su un tavolo d’acciaio con le ali divaricate?”
Non gli ho mai risposto.

mercoledì 10 giugno 2009

Tzé, un mese

E' passato un mese, dicono, ed è vero.
E' passato un mese di sopravvivenza e chilometri.
Un pezzo in Puglia con il sole, il mare, la sabbia fine, il silenzio.
I Pugliesi stanno molto in silenzio e se si parlano lo fanno dalle automobili.
Sarà che hanno strade che noi ce le sognamo: lisce e pettinate tra ulivi secolari.
E casse di pesce e cozze, che si comprano ancora al porto e costano, come da noi, due panini.
E' passato un mese di di pessime dichiarazioni: "L'Italia non è un paese multietnico."; "Milano sembra l'Africa.", "Roma sembra l'Africa."; "Vicarello sembra l'Africa.".
E nessuno dall' Africa che si sia offeso.
E' passato un mese nel quale qualcuno si è seriamente convinto che dieci domande su un fatto piuttosto marginale, fossero la dichiarazione dei redditti di Al Capone.
E' passato un mese che è passato anche da Roma, in mezzo ad un matrimonio, dal quale si è usciti con la rinvigorita certezza che le scarpe con il tacco non sono roba da signorine.
E' passato un mese con dentro le elezioni europee, in cui quelli che hanno vinto, hanno perso e quelli che hanno perso, hanno vinto. Ma non si può dire nemmeno quello, ché è diventato un luogo comune.
Un mese come un altro insomma, non fosse per Marta e Cecilia.

Sì, ma di lavoro?

Da qualche parte

"... vedere, udire e imparare e capire, e scrivere quando si sa qualcosa; e non prima; e, porco cane, non troppo dopo."

Hemingway