mercoledì 24 dicembre 2008

Facebook on my mind and happy new year


Di Facebook so poco, per adesso non m'interessa, in primo luogo perché se non vedo qualcuno da vent'anni un motivo ci sarà e poi perché la registrazione obbligatoria per andare a curiosare, mi sembra contraria all'idea stessa di internet.
Ieri però ho capito.
Fecebook dev'essere come stare in centro città durante le festività natalizie, senza il problema del parcheggio e con la possibilità del logout.

lunedì 15 dicembre 2008

Quelli subito dopo i primi


Ho visto “Cinderella man” che è un film fatto a film e a me è piaciuto.
Racconta di un uomo che si guadagna il riscatto a pugni, quando ormai dovrebbe essere troppo tardi.
Accanto a quest’uomo ce n’è un altro più basso e bruttino, che ho trovato irresistibile.
Si chiama Joe Gould è uno sfortunato impresario di box, ma in realtà fa il Secondo, quello che sta nell'angolo e assiste il pugile durante l’incontro.
Ho sempre avuto una passione per i Secondi e questo è perfetto.
E’ leale e spiritoso, piccolo e scaltro, incredulo e pragmatico.
E vedendo il film, mi sono ricordata qualche interminabile pomeriggio della mia pubertà passato nella bella casa di Guido il disegnatore.
Avevo accesso alla stanza dei giochi. I giochi li aveva costruiti Guido per i propri figli e ce n’era uno che era un ring con tanti pugili ed altrettanti Secondi disegnati a china e poi lucidati e messi ognuno sul proprio piedistallo.
I pugili non m’interessavano, toccavo, incantata, i Secondi con i loro secchi e le loro spugne, con quelle facce segnate da vite misteriose (perché di chi dà pugni si sa sempre tutto, ma di quelli che stanno fuori dalle corde no: si sa poco o niente). Dicevo: “Fuori i Secondi” che era una frase che mi piaceva moltissimo e loro cominciavano ad agitarsi intorno al ring.
Il mio preferito era alto, grasso, pelato e sembrava molto stanco, ma era lì: c’era sempre.
Perché i Secondi sono così: ci sono. Sono quelli che ti incitano anche quando non lo fa nessuno, quelli di cui incroci lo sguardo quando ormai è tutto fuori fuoco, quelli che ti spalmano di grasso le ferite e ti allungano il secchio per sputare e ti rimettono il paradenti, quelli che ti urlano contro e i primi che abbracci quando hai vinto.
Sono così, sono quelli dietro le corde, con la spugna in mano e sono gli unici che sanno quando gettarla.

p.s.: Per l’interpretazione di Joe Gould, Paul Giamatti è stato candidato all’Oscar. Non lo ha vinto.

martedì 9 dicembre 2008

C'è qualcuno?

Qua fuori è freddo.
Coerentemente.
Alcuni sembrano particolarmente spaesati. Forzatamente si isolano. Forzatamente viaggiano, senza spostarsi.
Un paio viaggiano davvero e sorridono alla fatica di alzare le valige.
Altri hanno paura e ne sono stanchi. Sono quelli che non hanno mai pensato di avere qualcosa davanti e, adesso, sentono il peso di qualcosa sopra.
Poi ci sono quelli che non hanno neanche qualcosa sopra.
E ci sono quelli giovani che, forse, ce l'hanno un'idea di futuro e si battono per costruirsela, oppure fingono di battersi, ma comunque lo fanno a mani nude.
E ci sono quelli anziani che finiscono di demolirci il mondo intorno, indisturbati.
E poi ci sono quelli che parlano del PD.
Il mondo (quel che ne rimane) cambia, è già cambiato, esplode, implode, sanguina, suda, svanisce; e c'è chi (diversi li conosco, li stimo) parla del PD.
E io non capisco.
Una favola letta tempo fa e mai dimenticata, racconta: in un paese felice, governato da un buon Re, una strega fa un incantesimo all'acqua del pozzo. Tutti bevono quell'acqua tranne il Re e dopo aver bevuto il popolo insorge: "Il Re ha perso il senno! E' impazzito! Non può più governarci!" Ma il Re, che era un buon Re, si fa portare un bicchiere d'acqua e tutti sono contenti che il monarca abbia riacquistato il senno.
Ecco, io a questa favola ci ho ripensato tante volte, ma mai come adesso.
Mi sembra che un gruppo di persone si sia messo d'accordo per fare uno scherzo a tutti gli altri, come in certe cene di gioventù, come il Sarchiapone.
"Dai, facciamo finta che ci sia una forza riformista composta da nomi improbabili, facciamo che c'abbia un leader, accendiamo dibattiti su questioni completamente marginali. Eh? Si fa?"
E' che bisogna sapere quando farlo finire uno scherzo o, in alternativa, bisogna portare da bere a tutti.

lunedì 1 dicembre 2008

mercoledì 26 novembre 2008

E infatti


Aeffe a tre giorni dall'inizio del secondo tempo si è già fatto cogliere in fallo. Chiuzpah non avrà lo stipendio pattuito e lo ha scoperto oggi, alla firma del contratto.
Roba da essere ammoniti, ma l'arbitro ha smesso di fischiare parecchio tempo fa.

giovedì 20 novembre 2008

Un paio di cose sulla vita di un altro



A me questo libro è piaciuto molto. L'ho letto d'un fiato: camminando, appoggiandomi alle panchine, finendolo in macchina.
L'ha scritto Gipi, che si chiama Gianni Piacinotti e che è nato nella città dove sono nata io. Non lo conosco e non l'avevo mai visto.
L'ho visto sabato, mentre presentava il suo libro in un circolo davanti ad un centinaio di persone, tra le quali sua madre.
E' stato bravo e onesto e malinconicamente ironico come nella sua vita disegnata male.
Prima d'iniziare a leggere ha scherzato sulla presenza della mamma: "Siccome stasera c'è mia madre, devo dire la verità e cioè che tutto quello che ho scritto è rigorosamente inventato."
Quello che ha scritto arriva fino a farti girare la testa ed è droga e violenza e inadeguatezza, voglia di carezze e cavalli dipinti nei quadri.
Quello che ha scritto dev'essere tostissimo per una mamma e io la guardavo mentre lui leggeva e lei sorrideva ed era fiera di lui. Aveva gli occhi pieni di lui.
A qualcun'altro le conclusioni.
Poi, come mi capita, ho parlato di questo libro a molte persone, invidiandole, perché devono ancora leggerlo.
"Ma di chi è?"
"Ma è di qui?"
"Ma quanti anni ha?"
"Come hai detto che si chiama?"
"Ah! Ma è il fratello delle Pacinotti!"
Ecco, qui, qualsiasi cosa tu faccia, rimani il fratello delle Pacinotti.
A qualcun'altro le conclusioni.

mercoledì 12 novembre 2008

Ciuzpah v.s. Il Mondo del Lavoro

“Il basket è forse l’unica cosa al mondo che riesce a farti capire quanto sono lunghi dieci secondi, che trenta secondi durano un’eternità, che in trenta secondi ci puoi far stare dentro tre cazzate e cinque colpi di genio.”
(AA. VV.)


Frequento Il Mondo del Lavoro da diversi anni e, non faccio per vantarmi, non ho mai avuto grandi soddisfazioni.
Mi è capitato di faticare molto per non ottenere nulla, di faticare nulla e annoiarmi a morte e sentirmi inutile, di provare a fare cose in autonomia senza guadagnarmi nessuno spazio.
Ovviamente non ho neanche un soldo.
Insomma, sono una di sana e robusta costituzione che vive nel 2008.
A giorni (nel senso di due) mi scade il contratto sottoscritto con un’importante azienda.
Nonostante svariate dichiarazioni d’intenti, nessuno si è occupato dell’imminente scadenza.
Il mio piano: abbandonare, anche per il mare aperto, l’ennesimo luogo che mi ha sfruttata, frustrata, mal pagata e, quasi completamente, ignorata.
Ed è qui amici ascoltatori, a due giorni dalla fine della partita, che Il Mondo del Lavoro mette in campo l’abbastanza giovane Responsabile Commerciale Aeffe.
Una volta nel rettangolo di gioco il ragazzo si dimostra piuttosto bravo (un po' paternalista) ma piuttosto bravo.
In sequenza: si presenta cordialmente con discorso introduttivo sul lavoro del suo reparto, chiede a Ciuzpah di sé e delle sue capacità, fa domande e, soprattutto, risponde a tutte quelle che gli vengono rivolte. E' semplice nell'esposizione e coerente nel ragionamento.
Ciuzpah lo incalza con diversi quesiti e Affe non si lascia trovare impreparato.
E poi parla di sé e pare condividere una certa estraneità, un certo disincanto e l’ottusa aspirazione ad una possibilità alternativa.
In campo scende una specie di effetto Obama, tipo: “questo viene dal mondo da cui vengo io”.
I tecnici stabiliranno se si tratti dell’ennesimo bluff.
Ma intanto la difesa di Ciuzpah è evidentemente in difficoltà. La partita, che sembrava decisa, si fa, inaspettatamente, avvincente. Probabilmente, il ritiro negli spogliatoi servirà anche a valutare un nuovo schema di gioco.
Continuate a seguirci amici asoltatori.

p.s.: peccato (peccato davvero) che dagli spalti, la vicina di scrivania pianga per l’ennesima umiliazione.

domenica 9 novembre 2008

A capo

Caro M.,
è come stare alla finestra a spiare le vite degli altri. Me l'ha insegnato mia nonna che ancora non arrivavo al davanzale e ci voleva la sedia. E mi è sempre piaciuto guardare. Rubare lo scorcio di un'anta aperta su un salotto o una cucina. Immaginarsi le storie. L'ho trovato scritto anche in Leopardi e credevo guardasse lo stesso abete che avevo guardato io.
Poi Staino in un fumetto sentenziò: "Guardare senza esser visti rende tristi."
E io ci penso da un sacco di anni e non ho ancora deciso. Mi piace guardare. Mi piace non esser vista. A volte sono triste e mi vorrei in una foto o in una mano. A volte no. "Quel che di eroico e di geniale c'è nel diventare uguali al proprio sfondo."
Ecco, sul come sto, non ne sono ancora venuta a capo.

giovedì 6 novembre 2008

Un sospiro di sollievo

L'hanno scritto e condiviso e spiegato, già troppo bene.
Io mi tengo questo.

Luoghi comuni al contrario (Cavalcando l'Onda)

La protesta del leader.

Potenza delle immagini

La sintesi perfetta delle condizioni in cui versa il nostro paese: una donna spaesata che fa domande sul futuro ad un uomo morto.

Ricomincio da tre

Però se mi faccio vincere dal fatto che sono in ritardo finisce che non scrivo più.
Palermo è una città bellissima e dentro ci sono i Siciliani, che se, essendoti perso, gli chiedi indicazioni sul posto dove vuoi andare, ti rispondono: "Siete fuori luogo."
Ecco, ricomincio.
Fuori luogo.
Come sempre.

Polisemie

Non ce la faccio ad andare al ritmo giusto.
Rimango indietro.
Succede così: succede che cerco di capire delle cose e mi ci metto intenta, ostinata.
Succede che mi appassiono, che cerco, che provo, che sbaglio, che riprovo.
Succede che alla fine sono stanca e non ci scrivo più sul blog. Perché, ovviamente, parlavo del blog.

venerdì 24 ottobre 2008

Qualche giorno fa

“Se pensate che l’istruzione sia costosa,
provate l’ignoranza.”
Derek Bok
Presidente Emerito dell’Università di Harvard



Da qualche tempo, nella città dove vivo, la mattina presto capita di vedere uno spettacolo inconsueto.
Si muovono in gruppi che variano dai due ai quattro componenti. Sono eterogenei nella forma.
Sono famiglie, genitori e figli, papà per mano a bambini occhialuti, mamme con code di cavallo e borsoni che parlano con altre mamme.
Sono tutti spaesati, specie i papà, che son quelli che dicono ai bambini: “Allora, adesso andiamo a casa.” e gli tendono la mano e si vede che non sono abituati a farlo spesso.
Da quando è passata la legge del Ministro Gelmini, i bambini vanno raramente a scuola. Quando ci vanno, le maestre si sono vestite in modo buffo, o qualche genitore ha imbracciato una chitarra e canta.
Credo che il Ministro Gelmini (perché Maria Grazia Gelmini è un Ministro) avesse messo in conto le proteste contro il proprio decreto legge, ma sono convinta che non si aspettasse quello che sta succedendo.
Quello che sta succedendo è anche che i docenti sono tornati a parlare con gli studenti e insieme si sono messi a camminare per le strade.
Tutti, improvvisamente, si sono ricordati quanto sia importante il futuro e quanto necessario averne cura.
Persino i papà, che tendono la mano al loro occhialuto avvenire e se lo portano a casa.
Chissà, quando anche tutto questo sarà finito, cosa penseranno i bambini?

Per chiarezza

Ciuzpah si pronuncia Ciuzpà.
E non torniamoci più sopra.

giovedì 23 ottobre 2008

Presentazioni

Ciuzpah è un titolo che nasce qualche anno fa quando a me e quest'uomo ci viene un'idea: mettere dentro un noiosissimo festival teatrale uno spazio dedicato al fumetto.
Quando ti viene un'idea e la devi presentare a qualcuno, sei costretto a dargli un nome.
"Ciuzpah! Il segno dei tempi" partorimmo, allegramente futuristi.
L'iniziativa fu un successo, ma il nome - con nostro enorme stupore- non se lo ricordava nessuno e chi provava a pronunciarlo, lo storpiava impietosamente.
Il tempo comincia a darci ragione, aggiungendoci una T.

mercoledì 22 ottobre 2008

Colloqui

Ieri, quando Repubblica pubblicava il reportage di Sandro De Riccardis sui call center milanesi, sono andata a fare un colloquio di lavoro.
Avevo mandato un curriculum, mi hanno chiamata. Appuntamento alle 16,30.
Arrivo nell’ufficio e ci sono altre otto persone. La brusca segretaria mi dice che sono indietro con gli appuntamenti. Così indietro? Sì, così indietro.
Mi siedo. Sorrido e mi guardo intorno. Le persone con cui condivido l’attesa non sono come me. Io sono qui perché sto facendo un lavoro che non mi piace e ne cerco un altro. Gli altri sono qui perché un lavoro non ce l’hanno. Alcuni devono aver passato i quaranta da almeno un lustro. Altri sono molto giovani e malvestiti.
Aspetto e aiuto una ragazza a compilare il modulo che supplisce al curriculum. Ha molte domande e, si vede, non è abituata ad avere delle risposte.
Durante un precedente colloquio quando ho chiesto, dopo la nebulosa descrizione del lavoro, quanto mi avrebbero pagata, la dirigente commerciale dell’azienda mi ha guardata come se fossi appena scesa da Urano e mi ha risposto: “Non lo so.”
La cosa mi aveva molto stupita. Conoscendo la ragazza del modulo mi è parso evidente che anche lo stupore sia diventato un lusso.
Alcuni colloqui durano anche pochi secondi.
Vengo chiamata.
Alessandro mi stringe la mano con una veemenza eccessiva. Si siede di fronte a me, dietro la scrivania e comincia a leggere il mio curriculum. Senza guardarmi. Senza parlarmi. Mi fa domande con aria di sufficienza.
Chiedo quale figura professionale stiano cercando.
Alessandro si innervosisce. Non può neanche farmi qualche domanda? Certo, ma se sapessi per quale lavoro sono lì, potrei farmi un’idea.
Parte un monologo pieno di arroganza e di nomi di marchi famosi dove spiccano frasi come “perché chi lavora con me deve galoppare” e “se qualcuno dei miei dipendenti s’innamora io lo caccio. La ditta è mia e faccio quello che cazzo mi pare.”
Di mansioni non ne parla, di soldi neanche. Capisce che ho alternative e che il monologo non ha funzionato. Non sa come uscirne. Lo tolgo d’impaccio.
Esco e guardo la ragazza del modulo. Entrerà dopo di me e senza alternative.
La lascio lì, dentro un mondo che ha prodotto esseri umani che si sentono autorizzati a pensare e dire bestialità, che praticano e rivendicano l’arroganza e la sopraffazione, che non sanno rispondere alle domande.
Anche il fastidio che mi rimane addosso dev’essere un lusso. La paura no. Quella è un bene diffuso, che fa prolificare call center dove ti pagano 4 € l’ora, lavorare cassiere che si pisciano addosso, giovani professionisti che accettano trattamenti inaccettabili.
Avrei dovuto dire ad Alessandro che, se cercava galoppatori, avrebbe dovuto aprire un maneggio. Non l’ho fatto. Chissà come è potuto accadere?

Il vizio di Roberto

Qualche sera fa ho visto Roberto in tv.
Ho apprezzato il libro che ha scritto. Ho apprezzato che l’abbia scritto.
E mi è piaciuto molto il film che ne è stato tratto.
In tv Roberto parlava della camorra. Ne parlava come uno che si è davvero documentato, circostanziava nomi ed eventi, metteva a sistema geografia e storia. Era chiaro nell’esposizione, avvincente nel racconto.
Riuscivo a capire anch’io, che vivo nella provincia toscana e la camorra l’ho letta nei libri e vista nei film.
E mentre Roberto parlava mi chiedevo cosa c’è nella testa di uno che accanitamente ha studiato per scrivere un libro, per il quale vive sotto scorta, dai cui concittadini è considerato un visionario rompicoglioni (raccontava che durante il trasloco, quando con le guardie del corpo è entrato in macchina, la folla accalcatasi intorno all’auto gridava: “Vedi? Finalmente l’hanno arrestato!”).
Mi chiedevo come si fa a vivere così. Non tutti ce la fanno a vivere così. Provano. Poi scrivono una lunga lettera ai propri cari e si buttano da un viadotto.
A un certo punto ho capito. Saviano è animato, oltre che da un profondo senso di legalità che probabilmente manca a molti di noi, dalla vanità.
Saviano è vanitoso.
Tanto da risultare un rompicoglioni.
Tanto da mettersi contro la camorra tutta.
L’appello di Repubblica l’ho firmato, perché la vanità mi sembra un peccato più che marginale e la solitudine non richiesta una pessima condanna.
Sapevo che qualcuno non l’avrebbe fatto e mi aspettavo qualche teoria “bastian contraria”.
Ma non credo si possa scrivere che per vivere senza scorta basti affittare un appartamento a Londra.
Credo che ognuno debba e possa vivere dove vuole. Ci tengo proprio.
Non riusciamo più a fare le cose semplicemente giuste. Siamo diffidenti e sappiamo scriverlo anche bene.
Ah, la vanità!

Va bene

Proviamoci.

Prendersi confidenza

Il primo post fa un po' effetto.
E ho nella testa la frase di uno spettatore a commento di una qualche rappresentazione teatrale: "Non ne sentivo il bisogno.".
Ecco, questo mi sto dicendo, che noncenèbisogno.
E, bisogno, ovviamente, non ce n'è.
Però, siccome mi capita di scrivere, vorrei vedere che effetto fa mettere in fila un paio di cose.
Sempre ammesso che ci riesca.